Le conseguenze impreviste della nascita dell’agricoltura tra paleodieta, salute mentale e benessere sociale – 1 parte

Che accade se due libri, letti e comprati in occasioni differenti, danno vita a un unico filo conduttore? Il primo che ho letto è stato il libro di Spencer Wells Il seme di pandora dedicato alle conseguenze impreviste che la nascita dell’agricoltura ha prodotto nella nostra specie, il secondo invece è La Paleodieta di Robb Wolf dedicato a questo particolare regime alimentare che si rifà (pensavo per scherzo) a quello dei nostri avi prima della scoperta dell’agricoltura. Nessuno scherzo, solo un confronto scientifico che mi ha permesso di ricostruire il percorso alimentare che ci ha portato fino a oggi, nel bene e nel male. Cosa diamo per scontato quando parliamo di agricoltura? E cosa ci aspetta se continuiamo a permettere un utilizzo sbagliato di questa rivoluzionaria scoperta da parte dall’industria dell’alimentazione? Cosa ha a che fare l’agricoltura con il nostro benessere fisico e mentale? Mettetevi comodi, perché è una storia lunga e proprio per questo l’ho divisa in due puntate.

Circa 10.000 anni fa è accaduto qualcosa di rivoluzionario per il genere umano, abbiamo scelto di diventare stanziali e di modificare il nostro rapporto con la natura: abbiamo sviluppato l’agricoltura. Mentre i cacciatori-raccoglitori dipendevano dalla ricerca di cibo, gli agricoltori hanno cominciato a produrre le proprie fonti di sostentamento. Questo mutamento del modo in cui ci procuriamo il cibo ha messo in moto un cambiamento epocale: controllando l’approvvigionamento di cibo abbiamo guadagnato la capacità di decidere quante persone potevano vivere in una particolare località, non c’era più bisogno di spostarsi altrove, bastava semplicemente produrre più cibo. Questo ha dato avvio alla crescita esponenziale della nostra specie, ma non solo, la ha anche pesantemente influenzata dal punto di vista genetico.

Secondo gli studi di Jonathan Pritchard, genetista alla University of Chicago, la datazione di 10.000 anni fa combacia con il periodo in cui gli esseri umani sono stati oggetto di una selezione molto intensa; abbiamo modificato piante e animali i quali ci hanno permesso di sviluppare società sempre più legate all’agricoltura, ma a loro volta questi hanno modificato noi. La selezione più intensa è quella subita dal gene della lattasi, attivo in tutti i bambini e che permette loro di nutrirsi di latte durante tutto il periodo infantile. In molte popolazioni però il gene viene “spento” dopo l’infanzia, rendendo gli adulti incapaci di metabolizzare il lattosio, lo zucchero presente nel latte. Con l’addomesticamento di capre e mucche, tra i 10.000 e gli 8000 anni fa, il latte diventa un alimento che arricchisce in maniera notevole la dieta delle popolazioni che praticano l’allevamento. Con il passare del tempo la mutazione genetica che permette di tenere attivo il gene per la lattasi è diventato sempre più frequente nelle popolazioni consumatrici di latte. Con il risultato che oggi il 90% degli europei presenta questa variante genetica, mentre la maggior parte degli africani (tranne alcune popolazioni allevatrici di ovini e bovini) e degli asiatici (che non hanno mai avuto il latte come principale costituente della dieta) è intollerante al lattosio in età adulta.

Un altro gruppo di geni che mostra una selezione rilevante, in concomitanza con la scoperta dell’agricoltura, coincide con i processi di metabolismo del cibo: il gene per l’alcol-deidrogenasi grazie al quale il nostro corpo può assimilare le molecole di alcol, al pari dei geni che svolgono un ruolo nel metabolismo degli zuccheri e dei grassi. Ma le selezioni non sono state solo vantaggiose: è in questo periodo di forte selezione che malattie come l’ipertensione e il diabete, da fattori protettivi quali erano prima dell’introduzione dell’agricoltura, si trasformano in veri e propri flagelli.

Si crede, ieri come oggi, che la vita dei nostri antenati paleolitici fosse tutto fuorché sana, longeva e felice; ma che anzi proprio lo sviluppo dell’agricoltura abbia migliorato la vita delle persone in modo determinante, sotto tutti i punti di vista. A confutare questo mito è stato lo studio dell’antropologo J. Lawrence Angel del 1984 (un classico della materia), che descrisse i resti scheletrici delle persone vissute prima e dopo l’avvento dell’agricoltura nel Mediterraneo orientale. Angel si concentrò sullo studio di 3 parti dello scheletro (dobbiamo tenere in considerazione che lavorò su un consistente campione fossile di individui vissuti in entrambi i periodi):

  • denti (permettono di stimare, tra le tante cose, anche l’età di un individuo quando è morto);
  • statura;
  • il pelvic inlet depth index (indice della profondità del canale pelvico)

Tutti fattori, questi, che potevano indicare lo stato di salute di una persona. Il risultato di questo studio è riportato in questa tabella:

(fonte, Spencer Wells, 2011)

Complessivamente i dati dimostrano che la transizione a uno stile di vita agricolo ha reso la popolazione meno sana. Dal punto di vista evolutivo ci sarebbe da chiedersi allora come mai gli agricoltori abbiano avuto la meglio sui cacciatori-raccoglitori, ma prima di affrontare questa questione e tutte le interessanti riflessione che ne derivano mi preme sottolineare come la tabella qui sopra costituisca il background scientifico della famosa Paleodieta proposta da Robb Wolf.

Secondo l’autore, discepolo di Loren Cordain, ideatore di questa dieta, per trovare salute e benessere (e perdere peso) bisogna tornare il più possibile a uno stile alimentare simile a quello dei nostri antenati cacciatori-raccoglitori. Come la dieta Dukan, la Atkins e la South Beach diet, la Paleodieta è basata su un basso contenuto di carboidrati e a farla da padrone sono le proteine. Queste diete hanno in comune il fatto di esagerare con le proteine nel tentativo di ridurre le entrate di carboidrati (gli studi sugli attuali cacciatori-raccoglitori dimostrano che le piante raccolte, di solito, rappresentano la maggior parte delle calorie presenti nella dieta), ma la filosofia che le anima è in linea con quanto sappiamo sulla probabile alimentazione dei nostri antenati. Facendo un confronto con la dieta moderna, in cui quasi tutte le calorie provengono da carboidrati e grassi lavorati, possiamo notare che i problemi sono iniziati quando ci siamo allontanati da un’alimentazione che ha funzionato molto bene per milioni di anni nel corso dell’evoluzione della specie umana. E gli effetti di questa dieta, con una maggiore concentrazione di carboidrati (oltretutto meno complessi in termini di variabilità delle fonti), si stanno ancora manifestando.
L’industrializzazione della produzione alimentare, unita alla riduzione dell’attività fisica, sono fenomeni relativamente recenti, ma le malattie che oggi ci affliggono hanno un’origine che si può tranquillamente far risalire alla nascita dell’agricoltura. Sono malattie che colpiscono il nostro corpo, ma la tendenza a lungo termine, circa le malattie umane, rivela un dato preoccupante e con un tasso crescente di diffusione pari a quello del diabete. Secondo l’OMS, le malattie mentali saranno la causa più diffusa di morte e disabilità entro il 2020. Oltre 400 milioni di persone nel mondo sono affette da malattie che variano dall’epilessia alla schizofrenia alla depressione, e i paesi a essere più colpiti sono proprio quelli più ricchi e tecnologicamente avanzati. Una chiara evidenza del fatto che, da sole, opulenza e tecnologia non rendono la gente felice.

Ma da cosa origina il declino della salute mentale, e come si collega alla nascita dell’agricoltura? Lo vedremo nella seconda puntata di questo post.

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