Teoria ed evoluzione del pettegolezzo

Una volta era il pettegolezzo, ora è diventato qualcosa di più… Una volta era una strategia difensiva, oggi si è trasformato in una modalità di scambio di informazioni tanto da aver perso il suo lato negativo ed essersi trasformaro in un canale di comunicazione neutro, da declinarsi secondo necessità. Fatto sta che di “pettegolezzo” se ne parla tanto oggi, a volte con giudizio, a volte con pregiudizio a volte se ne parla per parlarne, senza bene sapere il perchè, il che vuol dire che spettegoliamo sul pettegolezzo (!!!).

Oggi, nell’era di internet, il pettegolezzo veste panni diversi, mentire è diventato praticamente impossibile, ed essere trasparenti è diventato un obbligo. Se un’azienda, o una persona, non ha costruito un rapporto di fiducia con la propria utenza basterà un piccolo gruppo di persone a rovinare la sua reputazione.

Nell’ultimo numero di Darwin (marzo/aprile 2010) c’è un interessantissimo articolo di Rosaria Conte proprio sull’evoluzione del pettegolezzo, dove ci si chiede (a ragione di tutto il recente interesse verso questo argomento) a che cosa serva il pettegolezzo e perchè l’evoluzione umana se ne sia servita.

La tesi principale sviluppata dall’Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione del Cnr individue nel pettegolezzo una delle più antiche istituzioni sociali della specie umana. All’interno di reti di scambio informazionale il pettegolezzo ridurrebbe i costi e quindi incentiverebbe la circolazione di conoscenza preventiva sull’identità di truffatori o sfruttatori.  Ciò avrebbe consentito l’applicazione di diverse forme di controllo sociale, come l’isolamento e la punizione degli sfruttatori.

Ma come funziona esattamente il pettegolezzo e su quali proprietà o caratteristiche della specie fa leva?

Se con il termine falco vogliamo indicare lo sfruttatore e con quello di colomba l’altruista, ci è  subito chiaro che le colombe, lige all’ordine sociale, rischiano di avere la peggio rispetto ai falchi. Un piccolo numero di approfittatori può accumulare grandi sostanze a spese della maggioranza degli altruisti, arrivando poco a poco, ad annientarli.

Alcuni evoluzionisti, incuriositi dalle basi biologiche del comportamento sociale, hanno evidenziato come, così facendo, i falchi annientano anche se stessi. Dopo aver distrutto le colombe non resterebbe loro altro da fare che avventarsi gli uni sugli altri, questo porterebbe, alla fine, ad un dissolvimento dei falchi e di entrambi i gruppi sociali.

Come si è ovviato a tutto ciò?

La prima cosa importante da considerare è che le dimensioni del gruppo hanno una grande importanza: quando la popolazione è composta da poche  decine di individui che hanno un’alta probabilità di incontrarsi di nuovo dopo la prima interazione, le colombe imparano facilmente a far tesoro dell’esperienza acquisita a caro prezzo, e si tengono alla larga dai falchi. Certo, non riusciranno ad evitare danni quali l’esaurimento delle risorse comuni, ma potranno impedire forme individuali di sfruttamento.

Ma se il gruppo è più grande e diventano meno probabili incontri successivi, che cosa accade? A fare la differenza è chiamata in causa la comunicazione. E’ infatti tramite questa che le colombe possono riconoscere i falchi, prima di conoscerne uno a loro discapito. La comunicazione è un buon investimento: al costo della propria esperienza personale ciascuno viene così a sommare due gruppi di conoscenze, quelle dei patner con cui ha interagito direttamente e quella di coloro con cui si scambia informazioni.

Bene, ma tutto questo non migliora di molto la vita delle colombe, cosa permette di ridurre i costi della comunicazione (per esempio l’inevitabile ritorsione dal parte del falco di turno) senza azzerarne i benefici, e consentendo l’allargamento delle reti sociali? E’ questo uno dei grandi problemi di adattamento che ha affrontato la nostra specie, ma se la comunicazione non basta, che cos’altro ci vuole?

La teoria proposta dal Cnr sostiene che il pettegolezzo ha risolto il doppio problema di adattamento, consentendo agli insediamenti umani di resistere agli sfruttatori e di allargarsi. Chi fa gossip non riporta mai l’opinione di qualcuno, tanto meno la propria, si limita a riportare una voce che gira, senza potere (o volere) precisare l’identità di chi l’ha diffusa. Il pettegolezzo è per definizione unaccountable: non risponde mai della fonte e della qualità delli’nformazione trasmessa, ciò lo porta tuttalpiù ad essere tacciato di indiscrezione, ma non di menzogna od omissione.

Tornando ai nostri falchi e colombe possiamo arrivare a sostenere che il riferire dicerie conferisce un sensibile vantaggio riproduttivo a queste ultime, quello di evitare un certo numero di falchi senza pagare alcun prezzo per l’informazione necessaria. Anzi, le colombe saranno sempre più incentivate a fare gossip, favorendo la diffusione sia di notizie non verificate che di una certa dose di calunnie. Ma, se la quantità di conoscenza utile che le colombe pettegole fanno circolare supera l’entità dei danni provocati, il vantaggio delle colombe aumenterà, rendendole competitive rispetto ai falchi.

L’intelligenza umana fa favorito il pettegolezzo, è un dato che gli antropologi, come Robin Dunbar, hanno dedotto dallo studio di insediamenti ominidi di 250.000 anni fa. Questi insediamenti avevano dimensioni medie che superavano di un ordine di grandezza quelli raggiunti da altri primati. Questa constatazione ha portato a formulare l’ipotesi secondo la quale esiste una correlazione positiva tra le dimensioni del cervello di una specie e le dimensioni medie delle reti in cui i membri della specie entrano in relazione più o meno intima.

I dati neuroscientifici hanno confermato la validità di questa ipotesi, e si sono spinti oltre; la complessità del cervello umano consente la formazione di meta-rappresentazioni sociali, cioè di rappresentazioni sugli stati mentali altrui, sulle conoscenze, scopi, emozioni e valutazioni degli altri, fino a quello che viene definito quinto livello di annidamento (un esempio fornito è “io voglio che tu creda che Anna vuole che Giovanni sappia che cosa pensa Giacomo”). Il quinto livello permette di fare mindreading con un elevato numero di individui, che corrisponde alle misure medie dei gruppi di supporto umani. Il mindreading è la proprietà cognitiva tipica della nostra specie, ed è quella che ha consentito, tra l’altro, l’evoluzione del pettegolezzo.

Il pettegolezzo è presente anche nelle società tradizionali, nel cui ambito gli studi di Max Gluckman hanno fa da apripista, svelandoci come questo comportamento umano sia analogo alla teoria proposta dal Cnr. Una teoria che essendo di matrice evoluzionista si sconta con la difficoltà di essere validata sperimentalmente. E’ difficile infatti, fare esperimenti su processi avvenuti secoli o millenni fa.

La copertina del libro di Albert-László Barabási

A bypassare questo ostacolo è arrivato il “teorema del pettegolezzo”, anzi, per dirla più scientificamente Il “teorema della diffusione del gossip e conduttanza del grafo“. I papà sono italiani; Alessandro panconesi, Flavio Chierichetti e Silvio Lattanzi. Questa complessa formula matematica serve a calcolare con esatezza la velocità di propagazione del pettegolezzo in ogni rete sociale tecnologica composta anche da milioni di nodi. In realtà i tre studiosi non hanno scoperto l’algoritmo del gossip quanto la possibilità di determinare la velocità e la modalità di propagazione del pettegolezzo in una rete. Buffo leggere che tutto questo sembra essere vagamente imparentato con la teoria dei piccoli mondi (ricordate i sei gradi di separazione?) ampiamente studiata non solo da sociologi ma anche da Albert-László Barabási, un fisico ungherese da anni è coinvolto nello studio delle reti sia biologiche che tecnologiche (bellissimo il suo libro “Link” di cui vi consiglio caldamente la lettura).

E’  fuori da ogni dubbio che questo lato della ricerca interessi moltissimo l’industria, studiare la velocità e la modalità di trasmissione dell’informazione implica anche il saperla usare per i propri scopi, mi chiedo solo come mai tutti gli studi precedentemente fatti in ambito umanistico, sociologico e matematico siano stati adesso cancellati da un algoritmo senz’anima.

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