In un articolo Pete Ward apparso su “Le Scienze” si chiede se Homo Sapiens si stia ancora evolvendo o se la nostra specie si sia, da questo punto di vista, stabilizzata. Sebbene l’eredità genetica stia ancora operando (negli ultimi 10.000 anni gli esseri umani si sono evoluti 100 volte più velocemente rispetto a qualsiasi altra epoca) sembra che oggi sia la cultura il fattore che decide se gli individui vivono o muoiono; ora l’evoluzione potrebbe essere puramente culturale, invece che genetica.
Come il DNA, anche il patrimonio culturale subisce mutazioni nel corso del tempo: qui però non si tratta di geni ma di idee che, a differenza delle mutazioni, non nascono solo in modo casuale ma in genere nascono intenzionalmente, di solito con l’obiettivo di risolvere un preciso problema pratico.
Già questo determina una forte accelerazione nell’evoluzione culturale rispetto a quella biologica: chi cerca e trova una soluzione che permette un migliore adattamento all’ambiente può riuscire a diffonderla, in qualche misura, fra i suoi contemporanei. Non è necessario aspettare che sia il caso a portare la mutazione adatta nell’arco di chissà quante generazioni.
Anche se tutto ciò che è cultura sembra essere profondamente diverso dal patrimonio genetico, ciò che hanno in comune è che entrambi vengono trasmessi: la differenza principale sta nella loro modalità di trasmissione.
Questo crea una somiglianza profonda fra genetica e cultura, ma anche differenze, e può aiutarci a capire somiglianze e differenze nell’evoluzione di ambedue.
Seri tentativi di costruire una teoria dell’evoluzione culturale sono rintracciabili nei lavori di Lumsden e Wilson, Cavalli-Sforza e Feldman e Boyd e Richerson. Tutti questi studiosi hanno tentato, in un modo o nell’altro, di produrre dei modelli formali che integrassero gli effetti dell’eredità culturale nei modelli standard dell’evoluzione biologica. I loro lavori solo strettamente collegati alla teoria dei memi.
Dawkins produsse, nel 1976, il miglior tentativo di applicare il pensiero evolutivo alla cultura, tracciando una forte analogia tra l’evoluzione della cultura e l’evoluzione biologica. La memetica ipotizza che entità che hanno l’abilità di riprodursi fedelmente – chiamati replicatori – sono necessarie per spiegare la somiglianza fra generazioni. Nei modelli standard biologici questa funzione è affidata ai geni. I geni fanno copie di se stessi, e questa caratteristica spiega come mai la prole abbia una così profonda rassomiglianza con i propri genitori.
Se la cultura evolve similmente è necessario trovare delle forme di replicatori culturali che spieghino l’eredità culturale. Il meme assolve a questo ruolo.
E’ interessante notare che mentre è dato per scontato che tutti i memi sono idee (e viceversa) Dawkins include anche altre tipologie di enti, come il modo di modellare vasi, che è una tecnica nel pool memetico.
Per Dawkins, l’imitazione è il modo in cui i memi possono replicarsi, ma proprio come non tutti i geni possono replicarsi con successo, così nel pool memico alcuni memi hanno più successo di altri (su questa particolare situazione un altro studioso ha fatto interessanti osservazioni: Dan Sperber). Questo è l’analogo della selezione naturale. In generale le qualità che i memi devo avere sono longevità, fecondità e fedeltà di copiatura.
Mentre la longevità di una copia qualunque di un meme ha probabilmente un’importanza relativa, come per i geni, la fecondità è molto più importante della longevità di copie particolari; la sua diffusione dipenderà da quanto sarà accettato entro la popolazione che lo ospita. Per la fedeltà di copiatura lo stesso Dawkins ammette di muoversi su un terreno non molto solido, in quanto sembra che questa qualità non sia posseduta dai memi.
Infatti i memi vengono trasmessi in forma alterata, qualità alquanto diversa dai loro corrispettivi biologici, i geni, che adottano la qualità del “tutto o niente” nel replicarsi. A questo problema Dawkins rimedia teorizzando che l’impatto dei memi non è determinato dalla singola unità memetica ma dall’insieme che questi hanno sull’ambiente culturale, ovvero dall’essenza del messaggio che viene trasmesso.
La prospettiva proposta dal concetto di meme ha creato vari problemi, il più importante dei quali è legato alle limitazioni insite nell’analogia gene/meme. Le critiche sono state mosse per lo più dalle scienze sociali che sono ostili a un approccio evolutivo alla cultura, ma anche nel campo degli evoluzionisti culturali la teoria del meme è stata fortemente criticata.
Gli argomenti che più frequentemente muovono contro la teoria proposta da Dawkins sono varie, qui le più importanti:
- Le unità culturali non sono replicatori: i replicatori, infatti, sono unità che fanno copie di se stesse. I critici del concetto di meme suggeriscono che non si conosce nessun meccanismo che può spiegare come i memi siano copiati. Ma questo è un errore. Un’idea può essere imitata semplicemente attraverso l’osservazione e la deduzione: un agente B può osservare il comportamento di un agente A, dedurre che A ha una credenza X e in tal modo fare sua la credenza di A. Le idee possono essere acquisite anche attraverso la comunicazione linguistica. Un agente A potrebbe credere in X, comunicarlo a B e B iniziare così a credere in X. In entrambi i casi si può dire che la credenza X fa una copia di se stessa, attraverso il linguaggio, l’osservazione e la deduzione. Una forte critica alla memetica è che l’imitazione è troppo soggetta all’errore per fare da appoggio al processo di replicazione. Come, d’altra parte, è altrettanto vero che quando la stessa idea si propaga in una popolazione è molto difficile che questa si trasmetterà inalterata. Sperber sostiene che la riproduzione di tipo culturale è raramente memetica, preferendo usare quelli che chiama “attrattori”, cioè schemi culturali di pensiero che consentono il diffondersi di rappresentazioni in una popolazione senza che ci sia un’imitazione letterale di queste.Non tutte le idee sono replicatori, quindi non tutte le idee sono memi;
- Le unità culturali non formano lignaggi: un altro tipo di critica che viene mossa al concetto di meme è che mentre nella replicazione genetica si può risalire da un singolo gene a un genitore, le idee raramente vengono copiate da un’unica fonte in maniera tale da poter risalire a un’origine nota e puntiforme;
- La cultura non può essere frammentata in unità discrete: le idee sono in relazione reciproca tra loro. Se un individuo è in grado di acquisire una conoscenza ciò dipende dal fatto che è in grado di correlarla alle sue competenze concettuali. È impossibile, ad esempio, credere nella teoria della relatività senza capirla, e non la si può capire senza avere ulteriori conoscenze relativa alla fisica.
Le critiche riportate sono focalizzate principalmente sulla reale fedeltà del processo memetico, per quanto altri detrattori muovono contro l’effettiva utilità del concetto di meme, arrivando a dubitare dell’esistenza dei memi stessi. Quel che si sottolineare è come la teoria evolutiva possa essere declinata nell’analisi della cultura. Ma ci sono altre teorie evolutive che approcciano la cultura, e che partono da presupposti diversi dalla memetica, le analizzeremo brevemente in un prossimo post.
4 Replies to "L'approccio evoluzionistico alla cultura: la memetica"
davide 30 Maggio 2010 (16:39)
la questione è proprio al centro dell’antropologia culturale di stampo evoluzionista. recentemente ho letto “Five misunderstanding about cultural evolution” di Henrich, Boyd e Richerson pubblicato su Human Nature (2008) dove vengono sottolineate parecchie vulnerabilità dell’impianto teorico che fissa forti analogie tra genetica e memetica, tra ambito del biologico e del culturale, come puntualmente riportato nel post.
Una delle cose interessanti è che questo ambito di studi è genuinamente multidisciplinare (la sua potenza, e i suoi limiti, sono dovuti anche a questo): i tre autori, insieme, coprono aree di psicologia, economia, antropologia, ecologia e politica.
Per uscire dalla pastoie delle analogie tanto entusiaste quanto deboli consigliano di costruire uno spazio teorico che tenga conto delle evidenti differenze delle dinamiche culturali rispetto a quelle biologiche, pur rimanendo all’interno di un paradigma evoluzionistico. Consigliano, inoltre, di ammorbidire il dibattito, spesso aspro, tra darwiniani ortodossi e post-darwiniani, spostando il focus del dibattito da quanto genetica sia la memetica a come si possa costruire una teoria evoluzionistica della cultura solida tenendo conto delle attuali proprietà di un sistema culturale.
Infine, la questione è di grande attualità anche perchè permette di impostare scientificamente un discorso strutturato sul tema dell’innovazione, che ha chiare implicazioni sociale e economiche (pare sia l’unica via per uscire dalla crisi, ad esempio, e i politici pagherebbero oro per avere la formula magica per implementarla in un dato sistema X). Ovvio che l’innovazione passa per idee e rappresentazioni nuove che attivino processi sociali, culturali e produttivi che permettano la crescita di un sistema. La trasmissione culturale è la chiave di volta per avviare, sostenere e rendere solidi i processi di innovazione. Per qualche spunto: http://www.veneto.antrocom.org/blog/?cat=23
Lucia Galasso 30 Maggio 2010 (17:46)
Perfettamente d’accordo Davide. Uno dei pochi che ha tentato un lavoro di sinergia è stato Sperber a mio avviso, solo che poi si è perso un pò…
Pubblicità all'antropologia con i memi | Professione Antropologo 28 Luglio 2012 (14:05)
[…] certe immagini più o meno note che corrono nel web e dette “memi”. Non sono i memi di Richard Dawkins, ma le vignette dette “meme faces comics” e tratte da film o storie […]
Introduzione alla memetica | La Rassegna Della Domenica 2 Febbraio 2014 (10:38)
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