Gli eventi seguono un po’ le regole che valgono per la scrittura, a un certo punto pretendono che venga detto quello che vogliono loro, e non sempre le modalità sono quelle fissate o sperate dal suo creatore. Si, insomma vivono di vita loro, come i personaggi di un romanzo. E’ accaduto un po’ questo nel dare forma e sostanza a “Vite di donne” quando Arianna Fugazza e la sua associazione PIV, mi hanno invitato a lavorare a quella che era ancora un’idea.
Oggi Vite di donne, a pochi giorni dalla sua inaugurazione il 17 maggio 2014 a Ferrara presso l’Agriturismo Principessa Pio, è un evento con un’anima tutta sua; ha in seno l’idea di Arianna, raccontare gioia e fatica delle donne che hanno scelto di essere vignaiole oggi, ma si è trasformato in qualcosa di più.
Abbiamo voluto introdurre nuove chiavi di lettura, che potessero dare delle donne, che hanno scelto di tornare all’agricoltura (e in questo caso alla viticoltura), un’immagine il più possibile reale senza cadere in quella retorica, oggi tanto di moda, che ammanta di romanticismo il lavoro nei campi. La terra ancora oggi è luogo di lotta, sono cambiate le modalità del conflitto, proprio come sono cambiate le logiche del cibo. Se pure la produzione rimane importante, a fare la differenza è “come” si produce.
Su quel come le donne invitate a partecipare a Vite di donne hanno consapevolmente basato la loro vita.
Devo essere sincera, quando sono stata invitata a partecipare alla creazione di questo evento il mio fine ultimo era poter contribuire a scrivere (o riscrivere) il percorso evolutivo della donna contadina. Da qui la mia proposta di farsi spedire, da tutte le viticoltrici, le foto più importanti, dal punto di vista affettivo, sulla storia della loro famiglia e della loro azienda. Questo per dare vita a un piccola mostra fotografica, dal taglio antropologico, che potesse contribuire a raccontare queste donne e le loro scelte.
E’ stata la lettera di Chiara Barioffi che mi ha fatto capire che stavo facendo un errore. Chiara infatti mi scriveva:
Ho letto (in un’email precedente) che chiede di ricevere fotografie che attestino il nostro legame negli anni con la campagna, oggi invece leggendo la Sua mi viene da pensare che le foto richieste siano a testimonianza del nesso tra la figura femminile e la terra, visto come uno storico della famiglia da cui provengo. Mi sbaglio? Perché secondo me affascinante ed interessante, oggi, è sottolineare quante donne provenienti da realtà diverse abbiano scelto di sviluppare se stesse ed il loro futuro con la terra, la polvere, la fatica ed il sudore. Mi spiego meglio: mi sembra che abbiate dato per scontato che chi fa vino oggi, lo faccia perché si è trovata immersa in una realtà familiare che è quella da sempre. Invece il fascino e l’interesse ed anche il motivo di studio – per me, sia chiaro – dovrebbe essere nel constatare che donne provenienti da realtà diverse abbiano scelto di sviluppare se stesse ed il loro futuro con la terra, la polvere, la fatica ed il sudore.
Insomma, io non provengo da una famiglia contadina (non me ne faccio un vanto), i miei hanno comprato un casale che per diverse ragioni negli anni è diventato un’azienda ed io ho scelto ad un certo punto della mia vita di venire a vivere qui e di lavorarci dentro. Ho foto mie che mi ritraggono a lavorare in vigna, questo sì, e forse ne ho di mia madre che d’estate – quando trasferivano tutta la famiglia per le vacanze qui in toscana, si metteva ad etichettare a mano le bottiglie, invece di occuparsi solo del giardino, marmellate e letture. Ma certamente non sarò in grado di fornirle foto dei miei nonni o trisavoli coltivare i campi, perché facevano altro. Ma non mi sento diversa, per questo. Mi sento uguale a tutte quelle donne che oggi lottano per la scelta fatta, forse di moda oggi, decisamente controcorrente vent’anni fa, di occuparsi d qualcosa che in sé racchiude sensibilità, ideali, poesia creatività rispetto e cultura, insieme a fatica fisica e mentale, sudore, macro problemi di vario genere. Una sfida con se stesse e con la natura. Secondo me sarebbe bello, giusto ed opportuno dare spazio anche a questa parte di realtà campagnola; credo sia un aspetto importante da considerare.
Troppo intenta a guardare indietro, ho rischiato di non vedere cosa ho davanti. A volte noi antropologi cadiamo in questo errore, ma da un collega ho capito che andare troppo indietro, quando si vuole spiegate un fenomeno dal punto di vista antropologico, rivela spesso un’incapacità di leggere il presente.
La lettera di Chiara Barioffi, non solo ha dato un nuovo impulso di ricerca al mio progetto, ma racchiude anche l’anima più vera e più profonda di Vite di donne; una scelta di tornare a lavorare la terra che è anche, e forse soprattutto, volontà di fondare la propria vita su una serie di valori diversi da quelli imperanti nella società odierna. Una scelta di libertà che ha comunque regole dure, che (ci) insegna a essere più determinati nei nostri sogni sapendone pagare il prezzo.
Raccogliere queste testimonianze è quindi il mio ruolo. L’antropologia ha sempre dato grande importanza alle “storie di vita” che occupano tutto un filone di studi in merito. Ecco, durante “Vite di donne” io potrò farlo grazie a una tavola rotonda studiata ad hoc, che metterà in relazione non solo le vignaiole, ma anche le donne che ruotano intorno al mondo del vino sotto vari aspetti. Così Laura Rangoni, Michela Pierallini, Michela Iorio, Natascia Artosi, Maurizia Gentili e Cassandra Wainhouse uniranno la loro esperienza per raccontare questo mondo da tanti punti di vista differenti: comunicazione, scrittura, imprenditoria, giornalismo e arte.
E’ così che vogliamo migliorarlo il mondo… La logica delle quote rosa lasciamola agli zoo.
Vi aspetto a Ferrara!
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