Perché un’antropologa sente il bisogno di parlare di Saccharomyces cerevisiae? In effetti fino a qualche anno fa ignoravo del tutto la sua esistenza anche se avevo a che fare con lui tutti i giorni sotto forma di pane, vino e quella poca birra che utilizzo per lo più per cucinare. Ma il motivo è nascosto proprio in questi alimenti quotidiani, che hanno accompagnato l’uomo dalla scoperta dell’agricoltura fino ai nostri giorni. Saccharomyces cerevisiae è un compagno storico dell’uomo, talmente importante da aver dato vita una forma di coevoluzione molto interessante, ancora oggi in atto.
Il lievito è una componente essenziale di molte importati attività umane: panificazione, distillazione, produzione della birra e del vino. E’ anche uno dei più utilizzati microrganismi eucarioti studiati in biologia molecolare. Esso può svilupparsi sia in ambienti aerobici che anaerobici, ed è utilizzato principalmente in processi fermentativi. In tutte le quattro industrie che lo impiegano vengono utilizzati ceppi selezionati di S. cerevisiae non sempre interscambiabili tra di loro. La panificazione e la vinificazione alcune volte utilizzano ceppi naturali, che a differenza dei lieviti usati in ambito commerciale, hanno un certo grado di variabilità genetica. La definizione di lievito come microrganismo in grado di attivare la fermentazione deve attendere il 1872 con il lavoro di Pasteur. Questo scienziato e altri suoi colleghi scoprirono empiricamente che era necessario semplicemente rompere la buccia degli acini o della frutta e lasciare che il mosto fermentasse (dopo le scoperte di Pasteur e lo sviluppo della tecnologie della microbiologia, incluso il concetto di “cultura pura”, sono stati introdotti dei ceppi di lievito specializzati da parte delle industrie, evento che ne ha interrotto l’evoluzione naturale).
E’ studiando il vino da un punto di vista storico e simbolico che per la prima volta mi sono imbattuta in S. cerevisiae: ne parla Patrick McGovern nel suo “Il vino e l’archeologo”, in particolare quando descrive la fermentazione antica. E’ qui so nascere una diatriba molto accesa tra i professionisti del vino, sulla presenza o meno di questo lievito in vigna, sugli acini d’uva e in cantina. E’ mia cura fare quindi una premessa: stiamo parlando di fermentazione antica. Gli studi che ho consultato sono relativi a condizioni climatiche e a livelli di antropizzazione diversi da quelli di oggi.
L’importanza di questo lievito è riscontrabile già nella varietà di termini linguistici. Nelle lingue romanze troviamo levure (Francia) e lavadura (Spagna). In Germanico la parola per indicarlo è hefe e in tedesco gist. L’antica terminologia germanica era yes (fermentare) e gascht (fermetare, bollire). In greco abbiamo zèein (bollire), zestos (fermentazione, bollire, caldo) e zethos (birra). Sembra poi che la parola inglese yeast abbia origini scandinave. Il termine medievale inglese è zeest o yest, mentre la parola danese è gjoer. Le popolazioni medievali dell’Islanda utilizzavano il termine jast come quelle svedesi. Tutti questi termini si riferiscono generalmente alla capacità di questa specie di far crescere, gonfiare, lievitare il materiale nel quale si attiva. L’etimologia scientifica di questo lievito ci dice già molto di questa specie: Saccharomyces in quanto fungo (mycos) dello zucchero (saccharo); cerevisiae affonda le sue radici nella parola gaelica kerevigia e nell’antica parola francese cervoise. Entrambe queste antiche parole erano riferite alla birra, e ancor oggi la birra, in spagnolo, si chiama cerveza.
Il lievito ha avuto un’importanza sostanziale nella civiltà umana. Le più antiche evidenze di vinificazione si fanno risalire al Neolitico (7400-7000 anni fa). Il sale di calcio dell’acido tartarico e la resina del Pistacia (l’albero del terebinto) sono stati identificati in vasellame risalente a questo periodo. L’acido tartarico è presente in grandi quantità nei grappoli d’uva, ed è stato ipotizzato che la resina di Pistacia venisse aggiunta come antibatterico e per conservare a lungo le bevande fermentate. Questo evidenzia come, in questo periodo storico, fosse iniziato e controllato il processo di fermentazione del vino. Quello che non si conosce è se questo vino è stato prodotto da vite addomesticata o selvatica. Lo studio dello strato neolitico riscontrato nello scavo del sito archeologico di Haji Firuz (Cina) e il ritrovamento di 6 giare dalla capacità totale di 50 litri, suggeriscono una produzione di vino su larga scala tale da presupporre che la vite fosse stata già addomesticata. Evidenze chimiche, in tal senso, sono state riscontrate anche nelle successive civiltà sumeriche nella produzione del vino e della birra. Prove relative alla produzione della birra sono la presenza di ossalato di calcio e la forma del vasellame stesso. La conferma è venuta dal villaggio di Godin Tepe situato nella bassa Mesopotamia, sulle montagne Zagros. La cucina del periodo neolitico comprendeva una produzione di vino considerevole, come attestano le tracce chimiche rilevate nelle anfore rinvenute nelle abitazioni del sito di Hag Fires a nord delle montagne Saguaros in Iran. La vinificazione è stata probabilmente la prima esperienza dell’uomo con il lievito perché il processo non richiedeva l’introduzione di un agente lievitante esterno. Le spore del lievito erano già presenti sulla frutta pronte a innescare il processo di fermentazione.
Recentemente alcuni studiosi sono riusciti a isolare il DNA del lievito presente in una giara di vino di Abydos (datata 3150 a.C.), la sequenza individuata è risultata strettamente simile a quella del moderno lievito S. cerevisiae, ciò fa pensare che le specie di lievito presenti nell’orcio fossero dei precursori dello stesso. Questa scoperta non spiega solo quale tipo di lievito è stato impiegato per produrre uno tra i vini più antichi del Vicino Oriente e dell’Egitto (contenuto nella giara in questione, trovata nella tomba di Scorpione I) ma, cosa ancora più importante, ci dice che il principale lievito del vino ha una storia più antica che può spiegare perché questo lievito si sia poi imposto nella produzione del pane e nella fermentazione della birra d’orzo. L’uva, ricorda Mc Govern, era uno degli ingredienti di un’antica ricetta sumerica per la birra, oltre ad aggiungere un sapore e un aroma speciale, il suo uso come additivo aveva lo scopo di inoculare il lievito nella miscela da fermentare. I fichi a fettine aggiunti o messi in sospensione nel vino di Scorpione I potrebbero essere stati un’ulteriore, ricca fonte di lievito.
Sembra accertato che “l’invenzione del pane” sia databile intorno al 6000 a. C (l’uso del lievito è descritto più volte nel libro dell’Esodo), anche se l’uso consapevole di sostanze lievitanti, che richiede l’impiego di cereali facilmente decorticabili e l’introduzione di cellule di lievito, non appare fino al 500 a.C. Con lo sviluppo dell’agricoltura, si è probabilmente scoperto che introducendo nell’impasto un po’ della “madre” (la schiuma che si formasa sopra il mosto in fermentazione) usata per vinificare si aveva come risultato un pane più fragrante, morbido e gonfio. Un’altra ipotesi che giustifica l’aggiunta di lievito all’impasto di acqua e farina è da imputare al volo fortunato di qualche insetto, che posandosi sull’impasto ha lasciato alcune spore di lievito, dando così avvio alla lievitazione. Evidentemente si era osservato empiricamente che alcuni degli impasti lievitati potevano essere usati come starter per un nuovo lotto di panificazione. In questo modo il lievito si è evoluto grazie alla panificazione, con la partecipazione dell’uomo, perché gli starter utilizzati venivano trasferiti di panificazione in panificazione.
Oltre al vino, si sono sviluppate altre bevande alcoliche abbastanza presto nella storia dell’uomo. La birra per esempio è fatta dal malto d’orzo e altri cereali e richiede l’aggiunta di lievito per attivare il processo di fermentazione. Il maltaggio era già riscontrabile nell’antica Babilonia e in Egitto ed è databile già intorno al 3000 anni a.C. Standage ben descrive, nel suo libro “Una storia del mondo in 6 bicchieri” la procedura scoperta per produrla:
“In un’epoca in cui erano disponibili solo poche altre fonti di zucchero, la dolcezza di quei cereali “al malto” era tenuta in grande considerazione e stimolò lo sviluppo di tecniche calcolate di maltaggio, per le quali i cereali venivano prima bagnati e poi essiccati. La seconda scoperta fu ancor più importante. La pappa che non veniva consumata entro un paio di giorni subiva una mutazione misteriosa, soprattutto se era stata fatta con dei cereali trasformati in malto: diventava leggermente effervescente e piacevolmente inebriante, dato che l’azione dei lieviti selvatici presenti nell’aria facevano fermentare gli zuccheri della pappa, trasformandoli in alcol. La pappa, in breve, diventava birra”.
Nella vinificazione, il lievito è presente sui grappoli (Barata, 2011), e più tardi nella fermentazione, solo per poche settimane all’anno. Tentativi di cercare i lieviti nelle vigne sia poche settimane prima o subito dopo la vendemmia ha dato esiti negativi. Recenti studi suggeriscono che il lievito sia portato nelle vigne quando i grappoli sono in grado di essere spaccati dagli insetti che spesso li trasportano. Le api e le vespe sono i veicoli principali del lievito quando viaggiano da un pezzo di frutto danneggiato a un altro. La buccia danneggiata dell’uva è particolarmente allentante per gli insetti, perché possono facilmente nutrirsi del succo zuccherino che ne fuoriesce. Attente misurazioni della concentrazione del lievito sulle bucce d’uva di una vigna mostrano che solo in un numero molto limitato di frutti è inoculato il lievito, e molti di questi sono frutti danneggiati: quando l’uva viene pigiata e schiacciata, questo lievito è sufficiente a iniziare la fermentazione massiccia del mosto.
Perché possa verificarsi la fermentazione è necessario un frutto che contenga almeno il 10% di zucchero. Il S. cerevisiae, principale lievito del vino, utilizza questa percentuale di zucchero per produrre un liquido che contiene circa il 5% di alcol; con quantità di zucchero superiori, sopravvive all’aumento di contenuto alcolico meglio di altri lieviti e muffe, che possono produrre anche retrogusti e aromi indesiderati. L’uva e qualche altro frutto sono gli unici a contenere nella buccia una quantità di lievito sufficiente a provocare un rapido aumento della concentrazione alcolica e a eliminare efficacemente ogni altro microorganismo rivale. Quindi è probabile che, procedendo per tentativi, l’antico produttore di bevande capì che aggiungendo uva a qualsiasi altra mistura di ingredienti meno dolci (bacche, malto d’orzo, grano) ne migliorava il risultato. Con il tempo questo processo sperimentale fece predominare un lievito su tutti, il S. cerevisiae, che venne usato per l’intera gamma delle bevande fermentate. Questo lievito è lo stesso usato anche per la panificazione e la produzione della birra. Poiché non è portato dall’aria, si può concludere che la conoscenza della sua azione nell’uva, nei datteri, nei fichi e nel miele venne prima del suo uso per i cibi e le bevande basate sul grano. Mc Govern ipotizza che i primi ad arrivare non furono né il pane né la birra, ma un materiale ricco di zuccheri in cui si era stabilita questa specie di lievito.
I modelli di evoluzione del lievito proposti dagli studiosi sono vari. L’ipotesi di Martini (1993) propone che le spore di lievito siano presenti sui muri delle cantine e sulle attrezzature per la vinificazione e che da qui entrino in gioco per attivare la fermentazione (un esempio è la famosa birra lambic). Quando la fermentazione è finita, si pensa che queste spore tornino ad abitare i muri delle cantine in una sorta di processo ciclico che con il tempo rende migliore, per selezione, il lievito che viene impiegato nella vinificazione. Questo vale in circostanze in cui parliamo di ambienti “vivi” (cantine in pietra e grotte naturali) come certo non può essere, per esempio, un moderna cantina di vinificazione con botti in acciaio. Naumov (1996) sostiene invece che le spore di S. cerevisiae si trovano solo in associazione con l’attività umana. Secondo questo studio, il lievito è presente già in vigna e aziona la fermentazione grazie alla sua presenza sui grappoli. Naumov suggerisce anche che il lievito può essere stato trasportato in cantina o sull’attrezzatura da vinificazione da insetti e da qui arrivare a influenzare tutto il processo della fermentazione. Viene a crearsi, così, un circuito virtuoso tra cantina e vigna per merito degli insetti impollinatori. A sostegno di questa tesi viene considerato il fatto che S. cerevisiae è presente solo in aree antropizzate. Tentativi di cercarlo al di fuori di queste hanno dato esiti negativi. Solo specie affini come Saccharomyces paradoxus e Saccharomyces bayanus sono state trovate in regioni lontane dall’influenza umana.
Oggi l’uso di starter nell’industria della birra, della panificazione, della distillazione e della vinificazione è un caso particolare, se si tiene in considerazione che, anticamente, il lievito usato per azionare la fermentazione proveniva quasi esclusivamente dal vino o da altri tipi di fermentazioni spontanee. Di solito questi starter erano scelti per specifici scopi ed erano spesso selezionati tra cento o mille isolati naturali. Uno degli obiettivi delle industrie che vendono lieviti selezionati all’industria del vino e del pane è quello di preservare questi lieviti nel tempo, evitando la comparsa di ceppi mutanti.
Il ritrovamento all’interno di una giara databile intorno ai 5000 anni fa di filamenti di DNA di un precursore di S. cerevisiae ha importanti implicazioni per quella che è l’evoluzione del vino, del pane e della birra, ma non solo, ci testimonia di insediamenti umani ormai stabili dove già si praticava la fermentazione dei cereali e l’immagazzinamento delle scorte agricole. Questa scoperta ci fornisce la più antica testimonianza del rapporto tra la specie S. cerevisiae e quella Homo sapiens.Il Neolitico (8.500 – 4.000 a.C.) è il primo periodo della preistoria umana nel quale si verificarono tutte insieme le condizioni necessarie per l’epocale innovazione della viticoltura: la vinificazione, infatti, implica un’intera costellazione di tecniche, oltre alla semplice messa a dimora della pianta.In questo periodo si stabiliscono numerosi villaggi permanenti nel Vicino Oriente, specialmente nelle regioni attorno alla “Mezzaluna fertile”; le colline ai piedi dei monti Zagros che costeggiano i fiumi Tigri ed Eufrate a est, la Transcaucasica al nord e gli altopiani montuosi che declinano dai Monti del Tauro nella Turchia orientale, lì dove è attesta l‘origine della viticoltura. Queste popolazioni usavano già vari metodi per elaborare il cibo (macerazione, fermentazione, cottura e speziatura) arrivando a produrre il primo vino, birra e pane.
È in questo periodo storico che Saccharomyces cerevisiae è stato selezionato dagli antichi produttori di bevande fermentate grazie ad un procedimento che, errore dopo errore, li ha portati a introdurre uva, fichi, miele alla mistura che andavano lavorando per attivare la fermentazione: è da questo momento in poi che il legame tra le due specie diventa indissolubile; una coevoluzione che ci troviamo tutti i giorni del piatto e nel bicchiere.
Bibliografia
Barata A, Malfeito-Ferreira M, Loureiro V.(2011)The microbial ecology of wine grape berries. PubMed in process
Cavalieri D, McGovern PE, Hartl DL, Mortimer R, Polsinelli M (2003) Evidence for S. cerevisiae fermentation in ancient wine. J Mol Evol 57(Suppl 1): S226–S232.
Fay JC, Benavides JA (2005) Evidence for Domesticated and Wild Populations of Saccharomyces cerevisiae. PLoS Genet
Martini A (1993) Origin and domestication of the wine yeast Saccharomyces cerevisiae. J Wine Res 4: 165–176.
McGovern, L’archeologo e l’uva. Vite e vino dal Neolitico alla Grecia arcaica. Carocci, 2004 Roma
Mortimer RK (2000) Evolution and variation of the yeast (Saccharomyces) genome. Genome Res 10: 403–409.
Mortimer R, Polsinelli M (1999) On the origins of wine yeast. Res Microbiol 150: 199–204.
Naumov GI (1996) Genetic identification of biological species in the Saccharomyces sensu stricto complex. J Ind Appl Microbiol 17: 295–302.
Standage T. na storia del mondo in sei bicchieri, Codice, 2011 Torino
1 Reply to "Lievito (Saccharomyces cerevisiae) e società umana"
Lievito di birra ovvero Saccaromiyces Cerevisae | PastaMadreLover 15 Gennaio 2017 (4:04)
[…] non è infatti che il familiarissimo lievito di birra e se siete curiosi come me, vi lascio dei riferimenti storici che ho trovato molto interessanti. Voi vi chiederete perché un sito che si occupa di pasta madre […]