Iniziamo con una domanda pertinente: perché gli antropologi dovrebbero interessarsi di ristorazione?
Molti dei più interessanti aspetti della vita sociale, economica, politica e culturale del mondo contemporaneo si sono configurati intorno e negli spazi di un ristorante. E’ in questo luogo che possiamo trovare tutti i tratti studiati dagli antropologi culturali: forme di scambio, modelli di produzione, di preparazione, consumo – materiale e simbolico – del cibo, ma non solo.
E’ anche nel loro ambito che le domande relative alla formazione delle classi sociali, alla distinzione tra pubblico e privato, alle questioni di genere, etnia e religione vanno contestualizzate e analizzate. Inoltre, i ristoranti sono diventati importanti simboli della nostra vita quotidiana, con chef trasformati in stelle dei media, che sempre più diventano simboli di una città, di una regione, di un gruppo etnico e di una nazione tanto da aver preso il posto delle vecchie attrazioni turistiche come monumenti e mostre.
Possiamo sostenere in definitiva che ristoranti sono diventato un fenomeno sociale globale del mondo contemporaneo.
Ecco perché attraverso lo studio di questo singolo segmento della società l’antropologo riesce a comprendere l’intera rete di simboli culturali cui fa riferimento. E’ il gioco delle “connessioni” tanto caro a Jean-Loup Amselle: ogni particolare si definisce connettendosi a significati globali. Il ristorante è un aspetto particolare di una cultura che è in relazione con tutti gli altri aspetti di quella cultura.
Ma non solo, è in questo modo che si capiscono le criticità che il ristorante moderno si trova ad affrontare, e l’antropologia applicata può fornire le adeguate soluzioni.
Ma perché i ristoranti sono diventati così importanti?
I ristoranti sono stati a lungo centrali nello strutturare la vita sociale e culturale di molti luoghi: un ruolo che è rivelatore di profondi trend sociali. Questi locali possono essere luoghi di distinzione sociale, dove gli chef gareggiano per diventare delle star, e dove artisti e clienti vogliono essere visti, ma non solo, vogliono che si guardi anche il cibo che hanno scelto di mangiare. I ristoranti possono essere definiti dei landscape urbani, in grado di riflettere e dare forma a interi quartieri, alla reputazione di città e regioni. In molti casi, insieme ai loro clienti, collaborano incoscientemente – a vari livelli – nel creare queste sinergie, e non importa se si sta parlando di alta cucina o di una catena di fast food americana. E’ da qui che nasce l’accusa di contribuire, in parte, all’omologazione della cultura alimentare (penso, per esempio alla portata che le catene di fast food hanno avuto sull’alimentazione in Africa, ne ho scritto qui).
Allo stesso tempo essi hanno giocato un ruolo centrale nella riaffermazione del locale. Questi locali, e le persone che li gestiscono, sono diventati potenti mediatori culturali e simbolici di protesta contro la globalizzazione e l’industria del cibo.
Non va poi dimenticata la loro influenza nel preservare la biodiversità alimentare, tutelando anche le nicchie ecologiche e culturali a cui queste attingono.
Allora cosa viene realmente prodotto, scambiato e consumato quando le persone mangiano fuori casa ?
I ristoranti, abbiamo detto, sono un fenomeno globale, con i suoi lati chiari e oscuri. La pratica di mangiare fuori è diventata un’abitudine, nell’ultimo secolo, in molte società e, in virtù di questo, molte catene di ristoranti si sono diffuse in tutto il mondo. Ciò implica che la ristorazione partecipa in vari modi al fenomeno della standardizzazione: attraverso forniture di vario tipo (cibo, arredi ecc.), modelli organizzativi, stili stili culinari e circolazione di lavoratori. Eppure, nonostante questo, il ristorante viene considerato una realtà locale. Molto del suo fascino va quindi ricercato nei sui legami con il territorio e nel contempo con il contesto globale. Non a caso sono definiti fenomeni sociali totali. E’ qui che si nasconde la doppia natura di questa istituzione; locale e globale insieme.
Esplorando antropologicamente la ristorazione possiamo quindi scoprire, tra le tante cose, che:
- I clienti, e chi vi lavora, usano gli spazi del ristorante per più aspetti che il solo consumare o servire il cibo;
- Diventare un cuoco, o un’altra figura, in un ristorante è simile all’essere accettati come parte di una famiglia;
- Gli chef si sforzano di ricostruire cucine legate al territorio dove se ne è persa la memoria (o non ne è mai esistita una);
- L’etnicità ha il suo forte peso, sebbene i ristoranti siano divenuti un’istituzione culturale in molte società, questo non implica che mangiare fuori abbia lo stesso significato nelle varie culture.
Tutti aspetti che ci aiutano a capire quanto il ristorante sia un mondo con le sue dinamiche interne e allo stesso tempo quanto riesca a influenzare quelle esterne ai suoi spazi fisici. Ciò significa che questi locali hanno una grande rilevanza nel veicolare il senso dei luoghi in cui si trovano, e al contempo hanno la capacità di farsi relazione tra geografie sociali, economiche e territoriali.
All’antropologo spetta il compito di studiare queste dinamiche, di relativizzarle alle criticità presenti dentro e fuori i suoi confini, in cerca di soluzioni pratiche. Questo perché molte volte chi lavora in un contesto commerciale non valuta attentamente certi dettagli, tende a banalizzarli o a non dare loro la giusta importanza. Ecco, l’antropologia è la problematizzazione dell’ovvio, e ciò che è ovvio non sempre è evidente!
Per capire meglio come lavora l’ovvio prossimamente vi racconterò come funziona l’antropologia del marketing, anche e soprattutto nel contesto della ristorazione.
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