Partecipare alla prima edizione di Roma Baccalà, oltre a essere stato un vero piacere, mi ha permesso di studiare e approfondire alcuni momenti storici della cultura alimentare europea – con l’intento di capire perché in alcuni giorni adottiamo certi comportamenti o meno quando siamo a tavola, specialmente quando mangiamo del pesce, alimento importantissimo anche nella nostra simbologia religiosa. Così studiando il braccio di ferro tra aringa e Baccalà sono arrivata a capire perché il giovedì mangiamo gli gnocchi, e la birra a base di luppolo è un “regalo” di Lutero. Ma procediamo con ordine…
In principio fu il pesce
Quello che vediamo nell’immagine è un cristogramma, una stilizzazione grafica del nome di Cristo. (ichthys “pesce” in greco) è un acronimo formato con le iniziali della frase greca: “Gesù Cristo, figlio di Dio, salvatore”. Veniva usato dai primi cristiani per segnalare il proprio credo e non essere “scoperti” nei primi tempi in cui la loro religione era oggetto di persecuzione da parte dei romani. Lo si poteva trovare lì dove si riunivano, nelle catacombe… per segnalare ai nuovi venuti la presenza di un enclave cristiana nel posto in cui si trovavano.
Il pesce è stato quindi fin dal principio adottato come simbolo di Cristo, Se pensate a Gesù ed ai racconti del nuovo Testamento, i riferimenti alla pesca, ai pescatori e tutto quello che riguarda il settore ittico, sono frequentissimi. Anche nella simbologia cristiana viene spesso raffigurato un pesce che ha sulla groppa una nave, rispettivamente simboli di Dio e della Chiesa.
Insomma il pesce nel Cattolicesimo è sempre stata una presenza dal forte significato religioso.
Ma perché il legame tra religione e cibo è così importante?
Mangiare, nutrirsi è stato sempre un atto “misterioso“, fin da quando eravamo cacciatori- raccoglitori. Il cibo era misterioso perché ci si chiedeva a chi appartenesse, certo non a l’uomo che lo prendeva dalla natura, natura che era governata da esseri sovrannaturali. Da qui origina l’offerta primiziale, prima di potersi cibare il primo pezzo viene riportavo alla natura, a cui appartiene. Con la nascita dell’agricoltura l’uomo inizia a produrre il suo cibo, eppure nuovamente bisogna propiziarsi gli dei perché animali e raccolti non periscano… Con l’agricoltura, nasce la necessità di tradurre il tempo in un ritmo rituale: è al centro della religiosità umana.
Nasce il calendario agricolo, costellato di feste e momenti rituali per propiziare il bene e il allontanare il male. Nasce il calcolo del tempo, proprio per il bisogno di sapere quando celebrare le feste.
Entrare in rapporto con il sacro, attraverso il cibo: ecco il legame potente tra religione e alimentazione. Le prescrizioni alimentari sono il risultato della religione sul cibo, le feste il momento in cui condividere insieme a Dio e a gli altri la propria appartenenza religiosa.
Prima venne l’aringa…
Il primo pesce, non mediterraneo, a fare la comparsa sulle tavole del sud Europa è l’aringa, il cui commercio – su larga scala – inizia intorno al XII secolo. Proveniente dai mari lontani e freddi dell’Europa del nord, dell’Artico e dell’Atlantico, la lega Anseatica ne ha subito il monopolio del commercio. Pesce talmente importante da essere considerata moneta di scambio. Il suo consumo era prettamente da salata, cosa che le permetteva di arrivare ovunque a prezzi molto bassi. Da qui la sua “popolarità” sulle mense popolane e cittadine. Era considerata a tutti gli effetti “il companatico della povera gente“, non amata né all’occhio né allo stomaco, a volte da sola doveva bastare a un’intera famiglia, se fortunata accompagnata con un po’ di polenta. Farà la padrona del cibo povero fino alla comparsa del Baccalà.
… Poi venne il Baccalà…
Il baccalà se pur conosciuto nelle lontane e fredde terre del nord non entra in Europa, da re, prima del 1433. Lo “scopre” Pietro Querini, che naufragato alle isole Lofoten al suo rientro a Venezia ne porta con sé 60 pezzi. E’ lo stoccafisso (pesce bastone – seccato al sole) che tanta fortuna avrà nella Serenissima e a Vicenza. Nelle altre città italiane diventerà invece Baccalà, proprio per il diverso tipo di conservazione a cui è sottoposto: la salatura.
Come per l’aringa il suo commercio è favorito dalla lunga conservazione, sarà all’inventiva delle massaie italiane – regione per regione – la capacità di trasformalo in ricette dal gusto straordinario.
… E poi giunse Lutero…
Ma arriva il 1517, stanco della politica delle indulgenze e della ricchezza crapulona della Chiesa Lutero affigge sulla porta della cattedrale di Wittenberg le sue famose 95 tesi.
Quando il riformatore venne a Roma nel 1518 si scagliò anche contro l’ipocrisia creata dal fatto che non era possibile mangiare grasso nei momenti di quaresima e nei periodi di magro. C’è una frase che ne riassume bene il pensiero:
A Roma si fanno beffe del digiuno mentre ci obbligano a consumare olio d’oliva che non userebbero nemmeno per ingrassare la pelle delle loro scarpe e ci vendono il permesso di mangiare del grasso. Mangiare il burro sembra più grave che mentire, bestemmiare o commettere atti impuri.
Lutero fa un po’ da spartiacque tra quella che era la cucina medievale e quella moderna: la scoperta dei nuovi alimenti si unisce al discorso religioso: staccandosi dalla chiesa cattolica, il nord Europa ripudia anche alcuni dettami in senso alimentare, come non mangiare degli alimenti in alcuni periodi dell’anno.
Le Chiese protestanti, ad eccezione degli anglicani, rifiutarono le regole che prescrivevano l’obbligatorietà del digiuno nei periodi stabiliti dalla Chiesa cattolica. La riforma protestante concepì il digiuno come una pratica esteriore che non serviva di per sé a guadagnare la salvezza.
Martin Lutero riteneva che un cristiano potesse scegliere individualmente di praticare il digiuno come un esercizio spirituale per disciplinare il proprio corpo, ma che il tempo e il modo di digiunare dovessero essere lasciati alla discrezione individuale. La posizione di Lutero è stata accolta dalla maggior parte delle Chiese protestanti, in cui il digiuno è meno popolare rispetto alle altre confessioni cristiane. In genere, le Chiese luterane consigliano di effettuare volontariamente di tanto in tanto alcuni giorni di digiuno senza finalità rituali o salutistiche ma con finalità spirituali, per distogliere l’attenzione da se stessi e dai propri desideri, associando il digiuno alla preghiera.
Lutero era anche un ottimo bevitore e mangiatore, ricalcava perfettamente lo stereotipo della tradizione culturale celtica e germanica che proponeva il “grande mangiatore” come personaggio positivo, che proprio attraverso il suo atteggiamento eccessivo nei confronti di cibo e birra, esprime la sua superiorità rispetto agli altri. E il germanico ama la carne, ecco anche perché Lutero abolisce la guerra, a quest’ultima, voluta dalla Chiesa.
Concluse tutto il Concilio di Trento
La Chiesa corre ai ripari (un po’ tardi e lungamente) e nel Cinquecento il Concilio di Trento (1545-1563) viene indetto sull’onda della Controriforma Luterana anche con lo scopo di imporre alla chiesa cattolica romana usi e comportamenti più frugali. La nuova morale ecclesiale impone di stigmatizzare la cucina grassa del Medioevo predicando l’astinenza dalle carni.
La normativa ecclesiastica imponeva di astenersi dalla carne per qualcosa come 140-160 giorni all’anno. Agli inizi l’avevano praticata eremiti i monaci o gli eremiti, come scelta individuale o come osservanza di una regola, poi il modello venne allargato alla società intera e andò riguardando alcuni giorni della settimana, in particolare il mercoledì e venerdì, poi sono quest’ultimo, e certi giorni o periodi dell’anno: Quaresima, nelle Quattro Tempora e nelle vigilie delle feste di Pentecoste, dell’Assunzione di Maria Vergine, di Ognissanti e di Natale.
I motivi di questa scelta sono abbastanza complessi: accanto a motivazioni di ordine strettamente penitenziale dovettero entrarne altri legati sia alla persistenza di una certa immagine pagana del consumo di carne, sia la convinzione, scientificamente corroborata dei testi di medicina di allora, che il consumo di carne favorisse l’eccesso di sessualità.
Da qui la necessità di cibi alternativi: e la grandissima fortuna alimentare, economica e culturale di prodotti sostitutivi come legumi, formaggio, uova e infine il pesce. Quest’ultimo venne promosso come sostituto per eccellenza della carne e vero e proprio segno alimentare dei giorni di magro. Il pesce secco o salato era uno dei principali alimenti commercializzati dell’epoca: cibi poco costosi, proteici e facilmente trasportabili, che permettevano ai fedeli di salvare l’anima riempiendo lo stomaco.
Il consumo di pesce rimase tuttavia segnato da un insieme di connotazioni culturali che gli impedirono di conquistare simpatie veramente popolari. Quello conservato richiamava nozioni di povertà economica e di subalternità sociale. Quello fresco richiamava immagini di ricchezza, ma di una ricchezza scarsamente invidiabile, perché il pesce non riempie: è un cibo leggero, e appunto per questo quaresimale, che può essere pienamente goduto solo da chi non deve fare i conti con la fame quotidiana.
In entrambi i sensi, il pesce faticava ad entrare nel novero dei valori alimentari ritenuti generalmente positivi: lo si mangiava, sì, ed anche molto; ma culturalmente rimaneva pur sempre il surrogato della carne.
C’è da dire che la fortuna del baccalà è dovuta principalmente anche a un prete svedese, Olaus Magnus (Olao Magno), che fece uso di tutta la sua influenza per convincere i Padri Conciliari a pronunciarsi a favore dello stoccafisso, indicandolo come cibo adatto a sostituire le carni, considerate cibo lussurioso e grasso che induceva al peccato. Si racconta che la famiglia Månson commerciasse in aringhe e stoccafissi da secoli…Si, insomma uno dei primi lobbisti lo troviamo alla corte papale.
Ma perché giovedì gnocchi?
Proprio in conseguenza dei cambiamenti portati avanti con i giorni di magro nasce una nuova usanza alimentare, quella di mangiare gli gnocchi di giovedì.
“Giovedì gnocchi, venerdì pesce, sabato trippa”
Da dove nasce questo detto? Gli gnocchi sono un piatto nutriente e corposo, venivano preparati per il giorno che anticipava il digiuno del venerdì.
E cosa c’entra la trippa? La trippa come si sa, fa parte dei pezzi meno pregiati dell’animale. Il sabato, I macellai preparavano la carne che sarebbe servita per il pranzo domenicale, i padroni e nobili sceglievano i pezzi più pregiati e saporiti, mentre ai contadini restavano soltanto le parti più povere
Ma, nonostante questo saporose e nutrienti: è il famoso quinto quarto.
Ecco come hanno origine i proverbi… Nascono nuovi comportamenti alimentari e il popolo li adotta, traducendoli in modi di dire, che nascondono un loro senso.
Aringa Vs baccalà
Ma allora perché la lotta tra Protestantesimo e cattolicesimo viene rappresentata dall’aringa contro il baccalà?
L’aringa fu il pesce di Lutero e come tale bandito dai cattolici dopo il concilio di Trento.
I padri conciliari di Trento disputarono assai sull’eresia protestante e, trovandosi di fronte al problema del piatto di magro da consigliare ai fedeli nei giorni di vigilia, si imbatterono nel fastidioso problema di dover bloccare i riti gastronomici di Lutero. Scoprirono che le aringhe, diffusissime come pesci dei poveri, erano il piatto preferito dei protestanti che invece disdegnavano baccalà e stoccafisso. Così pensarono di invitare il popolo a mangiare il baccalà. Pesce che costava pochissimo e che consentiva di far vigilia e di non favorire in nessun modo la cultura luterana. A dimostrazione di questo i paesi dove è più forte il consumo di baccalà nel vecchio continente sono anche quelli più cattolici: Italia, Spagna e Portogallo.
Si forma così una linea di demarcazione tra mangiatori di merluzzo conservato (papisti) e quelli consumatori di aringhe (Europa centrale, Inghilterra e Germania), protestanti.
La cultura alimentare europea ne fu sconvolta, secoli di precettistica quaresimale aveva abituato la gente ad alternare carne e pesce, i grassi animali all’olio vegetale.
La liberazione dalla normativa della chiesa romana ridiede corpo a opposizioni mai sopite: l’Europa dei carnivori (luterana) propagandò il suo cibo facendone quasi il simbolo di una nuova indipendenza.
Riuniti dalla birra luppolata
Pochi sanno che furono Lutero e i suoi seguaci, ben prima dell’affissione delle 95 tesi, a promuovere l’uso del luppolo nella birra. Per loro era un atto di ribellione contro la Chiesa cattolica che all’epoca deteneva il monopolio sul Gruit, ossia un mix di erbe amaricanti, utilizzato per la produzione di diverse bevande tra le quali la birra. Il Gruit era tassato, utilizzato dalla chiesa come fonte di ricavi. Il luppolo non compariva nella ricetta del Gruit, essendo un’erba infestante, era considerata dalla chiesa bavarese immonda, priva di ogni qualsivoglia nobiltà d’utilizzo.
E così la birra che beviamo oggi è un “regalo” di Lutero, che unisce nel sapore cristiani cattolici e protestanti… Che dire? Prosit!
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