Covid-19 e nuovi comportamenti alimentari: il baratto culinario

L’attuale pandemia di Covid-19 lentamente – ma inesorabilmente – sta cambiando anche i nostri comportamenti alimentari. In questo articolo dedicato alla centralità che pane, farina e lievito hanno avuto durante la quarantena avevo già accennato al baratto di pasta madre e prodotti da forno, ma il fenomeno sembra essere molto più complesso e interessante.

In un periodo in cui fare la spesa è fonte di ansia il delivery non è stata l’unica soluzione adottata, le persone hanno cominciato a scambiarsi tra di loro cibo e ingredienti. Il baratto informale con i vicini è diventato un modo semplice, a basso o completamente senza contatto, per ottenere quell’ingrediente che manca, o per condividere il surplus di alcuni alimenti. Si è provveduto così alla carenza nella grande distribuzione proprio di quegli alimenti che sono stati vissuti come “confortanti” e necessari dalle persone costrette a rimanere a casa.

Ma non si baratta solamente, oltre a praticare vere e proprie cortesie di buon vicinato (specialmente verso le categorie più svantaggiate come gli anziani), si è creato un vero e proprio commercio parallelo di generi alimentari. Il Tam tam avviene attraverso i social di quartiere come Nextdoor, TocTocDoor e gruppi di Facebook, vere e proprie piazze digitali che oltre scambiare oggetti o favori, favoriscono lo sviluppo di buone relazioni di vicinato. Sono i Millennial e la Gen Z a prediligere condivisione e riutilizzo, quindi quelli maggiormente predisposti a impostarsi sul baratto o il commercio informale. Ambedue queste modalità sono però vecchie come l’uomo , presenti durante i periodi storici difficili, come quello che stiamo vivendo.
Il baratto o il commercio informale sono comportamenti profondamente radicati nell’uomo, e che si riaffermano ogni volta che un paese subisce un peggioramento su vasta scala della sua economia: l’incertezza porta le persone a spendere meno denaro.

David Ortega, economista alimentare presso la Michigan State University, ha studiato il fenomeno (anche comparandolo ad altri periodi di crisi come l’iperinflazione in Zimbabwe e Venezuela), notando subito che le ansie stavolta non si sono focalizzate sulla mancanza di denaro contante, quando su quella di cibo disponibile. Questo non tanto perché si sono esaurite le scorte alimentari, ma perché essendo cambiate le esigenze, si mangia più a casa che fuori, cosa che ha portato a una carenza di ALCUNI alimenti nella grande distribuzione. In più nei supermercati il nervosismo ha fatto il resto, portando le persone ad acquistare in grandi quantità ( e il più delle volte senza cognizione di causa). Il risultato ci si è trovati a casa con tanti ingredienti di un tipo e nessuno di un altro, ciò ha favorito lo scambio con i vicini di casa. Ma le lacune di generi alimentari non sono l’unica spiegazione del perché barattiamo. Secondo lo studioso, condividendo il cibo, le persone si sentono in grado di entrare in relazione. Il baratto ha consentito di superare lo shock del distanziamento sociale. Il commercio informale è diventato così un atto di gentilezza verso i più deboli e un modo per sentirsi utili, sostenendo la propria comunità.

Sostanzialmente si sta avviando, in modo naturale, quel movimento virtuoso sostenuto da Serge Latouche che va sotto il nome di “Decrescita” (ne ho parlato qui), in particolare quando lo studioso parla di resilienza. Questo concetto, preso in prestito dalla fisica e dall’ecologia, descrive la capacità di un sistema di assorbire le perturbazioni e di riorganizzarsi conservando essenzialmente le sue funzioni, la sua struttura e la sua identità. Così se la “perturbazione “ è ora la pandemia di Covid-19 questa ha attivato la resilienza nelle persone. Ad avere valore adesso è un altro tipo di moneta, quella che consente gli scambi di prossimità tra attori che si conoscono e che hanno relativamente fiducia gli uni degli altri, è la cosiddetta “moneta primitiva”.

Il baratto, o il commercio informale, sono monete sociali, una sorta di moneta primitiva che, secondo l’antropologo William H. Desmondesimboleggia la reciprocità tra le persone, cioè quello che le collega emotivamente con la loro comunità: era un simbolo dell’anima degli individui”.
Scambiarsi generi alimentari ha il compito di mettere in relazione bisogni insoddisfatti con risorse che altrimenti rimarrebbero inutilizzate. E’ attraverso la condivisione e la reciprocità che si creano beni relazionali – sostiene Latouche – in grado di basarsi su valori diversi (amicizia, sapere, gentilezza) da quelli del consumismo.

Questa visione non è affatto nuova per molte comunità non occidentali. Rebecca Adamson, economista indigena, ha osservato come sullo sfondo dell’attuale epidemia “possiamo vedere l’economia occidentale prendere lezioni o valori di un’economia indigena. Nel primo, la ricchezza è spesso sinonimo di denaro, mentre l’obiettivo del secondo è che tutti nella comunità sopravvivano e prosperino. Le economie indigene ottengono questo risultato attraverso la collaborazione e la cooperazione, valorizzando “l’efficacia collettiva” della comunità, molto simile a ciò che stiamo vedendo nella risposta pubblica a COVID- 19.” A preoccupare la studiosa e attivista è la mancanza di reti di scambio tradizionali nell’economia di mercato anche se vede elementi di esse riflessi negli sforzi di molte persone per creare reti di baratto e commerciali per fornire assistenza all’infanzia, acconciature, prodotti da giardino e agricoli, cibi gourmet, carpenteria, intrattenimento e altro ancora. “Riducendo l’influenza del denaro in una comunità”, afferma la Adamson, “il valore dei benefici sociali può essere massimizzato”.

Il baratto culinario (e di altri beni) è destinato a durare?
No, di solito è una pratica che nel tempo viene sostituita (se le cose peggiorano ancora) con l’utilizzo di monete parallele ma, tornando alle considerazioni di David Ortega, questo nuovo slancio non svanirà presto, perché si basa su un principio importante: la fiducia. E’ questa che spinge le persone a scambiarsi generi alimentari da persone che si conoscono, sanno che non avranno alimenti scadenti o avariati, che a ben pensarci è un ottimo motivo già di per sé.

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