Oggi, molte persone nei paesi sviluppati si tende a mangiare per piacere piuttosto che per sopravvivere. Così, qualunque cosa si mangi, si ha il desiderio di consumare cibi che hanno una storia dietro di loro, e siano salutari. Di conseguenza vi è un maggiore interesse per lo slow food. Tuttavia, senza capire il cibo etnico e le sue origini, comprese le persone, la cultura e la regione da cui proviene, è difficile parlare di slow food con chiarezza e la profondità che merita.
In senso stretto, si definisce “cibo etnico” l’insieme degli alimenti originari del patrimonio e della cultura di un gruppo etnico che usa la sua conoscenza alimentare di ingredienti locali, sia vegetali che animali.
Per fare un esempio, il cibo indù dall’India, il cibo Maori dalla Nuova Zelanda, e il cibo masai dal Kenya sono tutti considerati cibi etnici. Però, il termine cibo etnico è ambiguo. Quindi, in un senso più ampio, il cibo etnico può essere definito come la cucina di un gruppo etnico o di un paese che è culturalmente e socialmente accettata da consumatori di diversa etnia o provenienza.
Ad esempio, il cibo greco, indiano, italiano, tailandese e il cibo coreano sono tutti considerati cibo etnico al di fuori dei propri paesi. Inoltre, anche alimenti mangiati da persone di differenti religioni sono considerati cibo etnico. Esempi ne sono la cucina tradizionale buddista, la cucina cristiana,
e la cucina musulmana, tutte realtà che rientrano nella categoria del cibo etnico. Si tratta, quindi, di definire il cibo etnico non solo in senso ristretto, ma anche in senso più ampio, collegando tra loro storia, cultura, ecologia e benefici nutrizionali delle varie diete etniche (tra cui quella mediterranea è una delle tante). Una vera e propria ricerca scientifica il tal senso è carente, anche se ci si sta muovendo sempre di più in tale direzione, unendo tra di loro varie figure come: antropologi, nutrizionisti, medici, chef, imprenditori del food, insegnanti e ricercatori di varia formazione.
Da qui la nuova impostazione del mio lavoro, come antropologa dell’alimentazione, e di quanto andrò a fare come ricercatrice, formatrice e comunicatrice del mondo del food (per avere una panoramica più ampia del mio lavoro vi rimando qui).
Spero che su queste pagine si possa dare una risposta a domande fondamentali sul cibo etnico (ma non solo) e al suo ruolo, a vari livelli, nell’industria, nella cultura, nella salute nella società moderna. Perché nel mondo contemporaneo non ci può essere mutuo riconoscimento senza avere alla base una spiegazione scientifica a supporto della comunicazione delle idee. Allo stesso tempo c’è bisogno anche di filtrare ciò che scientifico non è, e che pullula nel mare del web, lì dove il cibo rischia di diventare un ostacolo alla comprensione delle differenze culturali, della storia economica, sociale, ecologica e genetica che lega l’atto di mangiare all’uomo, e in ultima – ma non meno importante – istanza, alla comprensione reciproca.
Il contributo da parte di voi lettori, colleghi e clienti sarà quindi per me importantissimo, spero di dare vita su queste pagine a un dialogo arricchente con tutti voi!
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2 Replies to "Che cos'è il cibo etnico?"
Amelia 13 Ottobre 2018 (17:56)
Non hrovare grande curiosità rispetto alle tradizioni gastronomiche e nutrizionali di altri popoli, specie visto che soffro di intolleranze che mi rendono un po’ più complesso fruire di alimenti comuni e diffusi nella tradizione alimentare italiana (pasta, latticini…) e che invece non esistono in altre.
È molto interessante per me il legame cibo-religione, visto che mi interesso di religioni, e anche la prospettiva metodologica, ossia la capacità di distaccarsi dalla categoria “etnico” e osservarla, per così dire, dall’esterno. Era una considerazione, quella sul fatto che la nostra tradizione è sempre etnica ed esotica per qualcun altro, che mi era accaduto di fare ma mai in relazione al cibo. Un’altra domanda che mi viene spontanea è: c’è sempre stato questo interesse per la località e il radicamento culturale dei cibi .(in poche parole, per il cibo “diverso” e legato a culture per noi identificabili come “esotiche”) o è una cosa recente? E se sì, perché sentiamo il bisogno di culture alimentari identificabili e localizzabili? C’è bisogno di appartenenza, di etichette, o c’è bisogno di esplorare l’altro, o un mix di tutte queste cose? Saranno domande banali per un esperto, posso immaginarlo, ma vorrei sapere se c’è una risposta o un’ipotesi di risposta in merito.
Lucia Galasso 19 Ottobre 2018 (10:14)
Ciao Amelia, e grazie delle tue osservazioni. Il cibo etnico, o meglio diverso da quello che mangiamo per cultura di appartenenza, è sempre stato presente nel nostro modo di alimentarci, ma per ragioni diverse. In passato chi poteva permettersi cibi provenienti da paesi lontani lo faceva per due motivi principalmente: status sociale (solo i ricchi potevano permetterselo) e, nel caso specifico delle spezie, per la conservazione degli alimenti, quindi un’utilità commerciale. Mangiare etnico non aveva le valenze che ha oggi, non era interesse per l’alterità, ma esaltazione delle proprie capacità economiche e di rango sociale.
Oggi, consumare un cibo locale, identificabile, ha comunque modo di parlare agli altri di chi io sia, proprio in base alle mie scelte alimentari. Penso che la problematica vada ricercata nelle motivazioni che ci spingono a farlo.
Non sono domande banali, mi permettono comunque di mettermi in discussione… e di focalizzare meglio quanto c’è bisogno di approfondire ancora 🙂