Homo dieteticus: viaggio nelle tribù alimentari di Marino Niola

E’ uscito da poco il nuovo libro di Marino Niola, antropologo che da sempre studia le relazioni che intercorrono tra cibo, cultura e società. Homo dieteticus (questo il titolo) ci accompagna a indagare un particolare rapporto, quello tra cibo e salute, e le riflessioni che l’autore ci regala aprono interessanti chiavi di lettura di un occidente ossessionato ancora dal cibo, ma in maniera differente dal passato.

Oggi, secondo Niola, siamo quello che non mangiamo piuttosto che il contrario, per l’antropologo infatti siamo diventati tutto fuorché onnivori con il risultato che i cittadini globali si dividono in tribù alimentari, che si identificano nelle loro passioni, nelle loro ossessioni e nei loro tabù.

Se il cibo è il pensiero dominante di questo tempo, le diete hanno smesso di essere una misura di benessere per diventare una sorta di condizione dell’essere. Non siamo noi a fare la dieta me la diete a fare noi. La dieta oggi diventa una pratica non solo fisica ma anche morale, che riguarda insieme salute e salvezza e che spesso rende antagonisti corpo e anima. Di fatto trasformandola in una sorta di religione alimentare, una fede senza dio, fatta di rinunce spontanee, di penitenze laiche, di sacrifici che spesso hanno a che fare più con la coscienza che con la bilancia. Sono i fioretti secolarizzati di una società che considera la depurazione del corpo alla stregua di un drenaggio dell’anima, e che fa cortocircuitare il “culto delle fibre” con la “fibra morale”.

Con il risultato di emarginare dalla tavola alcune dimensioni; quella legata al piacere, allo scambio, alla convivialità e alla condivisione. C’è invece una ricerca spasmodica del regime salvifico che trasforma il cibo in un’arma, una crociata che il nostro corpo conduce verso se stesso e contro i nemici che attentano alla perfezione estetica e immunitaria. Così si eliminano dall’alimentazione tutti gli alimenti individuati come nemici, come pericolosi, riducendola a pochissimi nutrienti con un danno alla salute stessa.

Ecco che in una società ricca di abbondanza di cibo, che non ha precedenti nella storia dell’uomo, ci si ritrova con un’alimentazione “in sottrazione, attenti che l’etichetta (che è la prima cosa che guardiamo) sia piena della confortante preposizione “senza”: senza uova, senza latte, senza conservanti ecc. Privazioni che si moltiplicano in maniera direttamente proporzionale alle nostre fobie. Una situazione che Niola paragona a una specie di guerra di religione che ha i suoi guru, e che spesso ha testimonial anche nello star system (basta pensare a Gwyneth Paltrow che decanta, sui media internazionali, la sua dieta da 300 calorie giornaliere!).

In una società come la nostra il grande nemico non è più la fame ma l’abbondanza, che si porta dentro tutto il suo carico minaccioso: sensi di colpa, fobie, idiosincrasie, allergie (e non intese in senso medico). Ecco perché latte e glutine diventano fantasmi allergenici, e nonostante la percentuale di intolleranze scientificamente accertata sia molto bassa, cresce in maniera esponenziale l’onda integralista dei neo convertiti e dei rinunciatari che hanno fatto dell’intolleranza alimentare un succedaneo dell’intolleranza religiosa, con la stessa carica spesso di fanatismo e di settarismo.

Marino Niola

Niola definisce quindi questo nuovo atteggiamento come “cucina senza”, in perenne sottrazione alimentare, che è l’opposto della cucina e dell’alimentazione dei nostri genitori e dei nostri nonni, che era tutta un’addizione di alimenti (prova del fatto che si erano lasciati alle spalle la fame).
Ma aggiunge anche un’altra interessante riflessione; i nostri nonni e i nostri genitori avevano fame di vita, non solo di cibo, noi forse oggi abbiamo paura della vita.

I nostri tabù alimentari si moltiplicano in maniera direttamente proporzionale alle nostre insicurezze, trasformando il cibo in un catalizzatore, in un capro espiatorio, con il risultato di trasformare una giusta educazione alimentare, più che necessaria, in una sorta di precettistica sanitaria da cui il gusto è bandito e la golosità è punita. Secondo Niola questo atteggiamento porta, e ha portato, alla nascita di nuove malattie sociali come l’ortoressia, una nuova forma di ascetismo, dove gli asceti del food cambiano abitudini sociali e stile di vita arrivando a isolarsi da tutti coloro che non condividono il loro credo rinunciatario, fino ad arrivare a una sorta di apartheid volontaria, fondata su un inconfessato senso di superiorità: gli eletti rispetto ai non eletti.

Niola ci mette quindi in guardia: il passaggio dal salutismo a razzismo può essere molto breve, sono questi i nuovi esercizi spirituali della società dell’abbondanza chi ha trasformato il cibo in medicina, la salute in salvezza e ha messo il bio al posto di dio.

L’autore ha il dono non solo di saper ben scrivere ma anche di quella ironia scanzonata di chi sa giocare con le parole senza perderne il senso, anzi, riuscendo benissimo a far capire il gioco degli opposti che spesso tutto questo nasconde. Un libro che consiglio fortemente, perché è fondamentale capire il meccanismo dietro al quale si camuffano atteggiamenti alimentari estremi, troppo spesso dati per scontati, normali.
Torna spesso il tema della solitudine di quest’uomo moderno, occidentale, che riesce a morir di fame nel tempo dell’abbondanza…

… Di cosa abbiamo veramente fame?

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