A che cosa serve l’antropologia?

La copertina del nuovo libro di Jared Diamond

E’ appena uscito l’ultimo libro di Jared DiamondDa te solo a tutto il mondo. Un ornitologo osserva le società umane“, edito dalla Einaudi. Ma Diamond non è semplicemente un ornitologo, ma un grande divulgatore scientifico che si è occupato di fisiologia, biologia evolutiva e biogeografia (per la sua vasta preparazione ed il gran numero di articoli che gli sono attribuiti, è stata avanzata la scherzosa supposizione che “Jared Diamond” non sia una singola persona, ma “in realtà un comitato”), autore del famoso “Armi, acciaio e malattie“.

Oltre ad affrontare temi quali la disparità di ricchezza tra i paese del mondo, il ruolo delle istituzioni nell’influenzare il sistema economico, il contributo che posso dare le società tradizionali, il ruolo dei comportamenti alimentari in relazione alla salute mondiale Diamond si sofferma anche sull’apporto che possono dare gli scienziati sociali, spesso, e ingiustamente, definiti studiosi di serie B, al benessere del nostro pianete e delle culture che lo vivono.
Ieri  su La Repubblica è uscito un estratto del suo libro, dedicato proprio al ruolo degli scienziati sociali, all’utilità di materie come l’antropologia. Ve lo propongo per riflettere un po’, buona lettura!

Poveri studiosi delle scienze sociali! Poveri antropologi, psicologi clinici, economisti, storici, antropogeografi, sociologi ed esperti di scienze politiche: le loro discipline non consentono di effettuare esperimenti controllati e rigorosi, dunque non potranno mai fornire risposte decisive.

La scienza non ammette altro metodo fuorché quello sperimentale, che consiste nel manipolare un campione (per esempio versando una sostanza chimica in una provetta) e nel comparare i risultati dell’esperimento con un campione di controllo, del tutto identico ma non modificato.
Certi scienziati, come i chimici o i biologi molecolari, sostengono che gli esperimenti manipolativi controllati siano il marchio di garanzia della vera scienza. Le loro, dicono, sono “scienze dure”: la ricerca nel campo delle scienze sociali è “molle”, dunque difettosa. Grazie alla superiore qualità del metodo sperimentale, le scienze “dure” hanno trovato risposta agli interrogativi più minuziosi […].

Gli scienziati sociali, invece, non sanno rispondere con certezza neppure alle domande più fondamentali: non sanno dirci, ad esempio, perché certe nazioni siano ricche e altre povere. Se anche loro si decidessero a impiegare il metodo sperimentale, di certo farebbero passi da gigante!
Consideriamo per esempio un problema delle scienze sociali che interessa molto i miei lettori italiani: perché in Italia il Sud è da sempre più povero del Nord? […] Ho una proposta da farvi: proviamo a immaginare che un abitante della Nebulosa di Andromeda, un essere dai poteri quasi illimitati, addestrato ai metodi della scienza sperimentale presso le migliori università della sua galassia, venga a visitare la Terra. Messo al corrente delle differenze tra il Nord e il Sud dell’Italia, l’ospite extraterrestre appronterebbe lì per lì un protocollo sperimentale utile a identificare le cause del fenomeno. Per misurare l’importanza dei fattori geografici, spargerebbe sulla Sicilia i ricchi suoli alluvionali della valle del Po; rimossa quindi l’isola dalla sua attuale, infelice collocazione, la deporrebbe poco a sud di Genova, appena sotto il limite costiero della prosperosa Italia settentrionale. Per valutare il peso delle eredità sociali del passato, il nostro visitatore riavvolgerebbe il nastro della storia con l’aiuto di una macchina del tempo, cancellando ogni traccia delle dominazioni normanna e borbonica; quindi ucciderebbe tutti i presunti affiliati alla mafia residenti nell’Italia sudorientale (ma non in quella sudoccidentale) e trapianterebbe centomila mafiosi nelle regioni nordorientali del paese, dotandoli di fondi illimitati e affidando loro il compito di propagare la corruzione e il malaffare. L’Italia nordoccidentale, non manipolata dall’esperimento, servirebbe da variabile di controllo per le regioni nordorientali; le regioni sudoccidentali svolgerebbero la stessa funzione nei confronti delle regioni sudorientali, e tutto il Sud dell’Italia continentale servirebbe da controllo per la Sicilia traslocata al Nord. Dopo quarant’anni, il nostro scienziato andromediano tornerebbe sulla Terra per misurare il livello di benessere economico dei suoi campioni da esperimento: confronterebbe la ricollocata Sicilia con la parte continentale dell’Italia meridionale, le regioni del Nordest contaminate dalla mafia con il Nordovest liberato dal contagio, il Sudest “demafiosizzato” con il Sudovest ancora infestato dalla criminalità organizzata. Tutto ciò gli consentirebbe di individuare, al di là di ogni possibile dubbio, le origini delle disparità economiche tra Italia meridionale e settentrionale, proprio come i biologi molecolari hanno individuato la funzione del centotrentasettesimo amminoacido della beta-galattosidasi.

Ma ahimè, c’è un piccolo problema: la mia modesta proposta è immorale, illegale e impraticabile. Molti esperimenti potenzialmente decisivi nel campo delle scienze sociali hanno il medesimo difetto: sono immorali, illegali e impraticabili. Dobbiamo dunque rinunciare a ogni speranza di progresso in questo ambito della conoscenza? Com’è ovvio, la risposta è no. Il progresso scientifico non si realizza soltanto grazie agli esperimenti di laboratorio controllati che tanto piacciono ai chimici e ai biologi molecolari. La conoscenza del mondo reale, che è poi il fine ultimo della scienza, ammette anche il ricorso ad altri metodi.

Ho imparato questa grande verità intorno ai ventisei anni, cioè nel periodo della mia vita in cui la passione per gli uccelli stava cominciando a trasformarsi da semplice hobby in serio interesse accademico. Il dottorato di ricerca in fisiologia conseguito un anno prima dimostrava che tra i ventuno e i venticinque anni ero stato addestrato a risolvere i problemi relativi al mio ambito di studi tramite ben congegnati esperimenti scientifici. […] Quando poi ho cominciato a studiare gli uccelli della Nuova Guinea ho constatato che sul piano sintattico i problemi della nuova disciplina non erano affatto diversi da quelli della fisiologia. Uno di questi, per esempio, riguardava il passeriforme noto come pigliamosche dorsoverde e la sua capacità di influenzare (e se sì, in quale misura) la consistenza delle popolazioni dell’altrettanto comune pigliamosche dorsogrigio. Applicando il metodo delle scienze “dure”, avrei potuto risolvere la questione in quattro e quattr’otto: sarebbe bastato uccidere tutti i pigliamosche dorsoverde che vivevano in una certa zona e misurare le eventuali variazioni nella popolazione di pigliamosche dorsogrigio, finalmente liberi dalla concorrenza dei cugini dorsoverde. Ma c’era un problema: l’esperimento, benché decisivo, era altrettanto immorale, illegale e impraticabile di quello che un immaginario andromediano avrebbe potuto effettuare traslocando la Sicilia e trapiantando o uccidendo i mafiosi. Di fatto, dovevo trovare un altro metodo per risolvere i miei dubbi ornitologici.
L’alternativa agli esperimenti manipolativi controllati c’era già, ed era un metodo ampiamente diffuso nelle scienze sociali: il cosiddetto esperimento naturale. Invece di creare un ambiente artificiale privo di pigliamosche dorsoverde, cominciai dunque a osservare diversi ambienti montani della Nuova Guinea: scoprii che alcuni ne sostenevano la diffusione, altri no. Negli ambienti in cui non c’erano pigliamosche dorsoverde la popolazione di pigliamosche dorsogrigio era del trenta per cento più abbondante, in quanto libera di estendersi anche alle quote che negli ambienti popolati da entrambe le specie erano occupate dai pigliamosche dorsoverde. Ma naturalmente anche gli esperimenti naturali, come quelli manipolativi, presentano problemi. Nel caso dei pigliamosche, per esempio, per confermare che l’assenza naturale di pigliamosche dorsoverde era alla base dell’aumento della popolazione di pigliamosche dorsogrigio, e non una semplice causa correlata, si sono resi necessari altri studi sul campo.
Come ho detto, gli esperimenti naturali sono un normale strumento delle scienze sociali. […] Il primo esempio che ci viene in mente è quello della Germania, unificata fino al 1945 e poi divisa in due nazioni i cui governi e istituzioni, tra il 1945 e il 1990, hanno creato incentivi economici alquanto dissimili, a loro volta responsabili di livelli di benessere molto differenti. […] In altri casi gli esperimenti naturali mettono a confronto entità che si differenziano sotto vari punti di vista, e non soltanto in relazione a un’unica variabile dominante. Se per esempio volessimo misurare gli effetti della latitudine sul benessere economico delle nazioni, non sarebbe corretto paragonare un solo paese situato alle basse latitudini (diciamo lo Zambia) con un altro che si trovi a latitudini maggiori (diciamo l’Olanda), perché la distanza dall’Equatore non sarebbe l’unico elemento di diversità. Tuttavia una comparazione tra decine di nazioni ubicate a diverse latitudini ci permetterebbe di constatare senza ombra di dubbio che i paesi delle zone temperate, situati alle latitudini più alte, sono in media due volte più ricchi delle nazioni tropicali che si trovano alle latitudini più basse. Torino Il progresso non si ottiene solo con gli esperimenti di laboratorio che tanto piacciono ai chimici. La conoscenza del mondo reale, che è il fine della ricerca, ammette il ricorso ad altri metodi.

No Replies to "A che cosa serve l'antropologia?"

    Leave a reply

    Your email address will not be published.

    quattordici + venti =

    Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.